Una cordata di imprenditori vorrebbe lottizzare stabili, parco e campi sportivi oggi di proprietà dell'ASL mentre gli enti pubblici sono rimasti in silenzio.
Le privatizzazioni hanno portato al trionfo degli affari di tutti, tranne che dell' ente pubblico: privatizzare i servizi ha significato innescare una corsa alla speculazione edilizia e finanziaria a cui la sanità non si è sotratta, anzi.
E così è caduto anche l'ultimo baluardo "storico" della sanità mantovana, l'ex OP del Dosso che invece di diventare la sede dell'aggregazione culturale e sociale del territorio, così come era accaduto, ad esempio, per l'area dell'ex Paolo Pini di Milano, sarà trasformato in un luogo residenziale, molto facilmente di lusso. Prima della riforma era di proprietà della Provincia, è stato trasferito alla Regione e quindi venduto per essere edificato, proprio come piazzale Mondadori. Un altro pezzo di città che se ne va per arricchire le tasche dei privati, facilitati dalla gestione dell'amministrazione pubblica; pezzi di agibilità democratica del nostro paese che non esistono più e servono ad altri scopi, quelli che oggi imperano senza alternativa nella nostra vita sociale e politica: il denaro ed il profitto individuale. L'ex Psichiatrico avrebbe potuto essere acquisito dagli enti pubblici mantovani e forse ancora si può rimediare all'ennesimo scempio. La proposta non è nuova, altre realtà l'hanno sperimentata sull'esempio di quanto Mario Tommasini ci aveva fatto vedere diventare realtà, non solo teoria, unire gli enti locali in un' associazione di scopo per farne un centro, anche residenziale, oltre che ricreativo, sportivo e naturalistico che, conservando la memoria di quello che è stato in passato e delle conquiste che in materia di salute mentale, benessere individuale e collettivo si è conquistato, si rivolga ad un panorama variegato di persone e di nuclei familiari che l'odierna omologazione culturale, si ostina a confinare nelle case di riposo, in varie forme di centri di accoglienza, istituti, nuovi ghetti quali luoghi abitativi dell'emarginazione e ambienti "chiusi" che (spesso in forma privata ma sempre pagata dal pubblico) non sono mai venuti a mancare, anzi si sono moltiplicati, specialmente nella Lombardia iperliberista. I microalloggi protetti per anziani, anche parzialmente autosufficienti con portierato sociale, gli alloggi del "dopo di noi" dove anche soggetti con disabilità psicofisiche riescono ad avere una propria condizione di autonomia e ripresa delle esistenti potenzialità umane, minialloggi per donne e nuclei monoparentali con figli minori, per studenti universitari, lavoratori precari, da costruire usufruendo dei progetti e dei finanziamenti europei e regionali, oltre che dei privati (per esempio dalle fondazioni che sono tenute a riversare parte dei propri profitti nel settore sociale) sarebbero una realizzazione possibile nel rispetto di quello che era quello spazio. Forse il luogo è troppo bello per simili soluzioni e queste persone devono continuare a vivere nei luoghi dell' emarginazione, al massimo rivernicati coi restiling dei contratti di quartiere, anche se strutture come l'ex OP sono di proprietà pubblica. Certo il regista di ciò dovrebbe essere l'ente pubblico, quello che una volta era lo Stato che oggi non c'è più, giacchè non svolge più la sua funzione di regolatore sociale, demandando alla sciagurata politica della sussidiarietà scelte e progetti, insieme agli enti locali territoriali, chiamati ad avere una visione complessiva dei bisogni della società e delle modalità per risolverli in modo positivo ed egalitario. Così non è: tutto è demandato al privato, anche la cura del sociale e quindi l'organizzazione dei servizi necessari. E' ovvio che nella giungla abitata e gestita dall'impresa, il più forte impera e vince e quindi gestisce in virtù di interessi parziali e individuali quello che era proprietà pubblica acquisita con la fiscalità. Il fatto che molti di coloro che hanno condiviso, anche da "sinistra", tale scelta, oggi si scandalizzino, quando da tempo hanno abbandonato il proprio compito e il proprio ruolo, anzi hanno fatto in modo che in propria vece intervenissero soggettività private (anche se associazionistiche o cooperativistiche che oggi sono assai lontane dalle caratteristiche di quell'universo mutualistico per il quale erano nate), le quali con solerzia hanno colmato il vuoto e hanno suplito all'inerzia pubblica, facendosi sistema, è quanto meno operazione ipocrita. Le responsabilità rimangono. Il colpo, preceduto dalla cessione dell' OP di Castiglione, potrebbe essere seguito da quello della Ghisiola, così come innumerevoli sono gli immobili che da pubblici sono andati ad arricchire un privato sempre oppotrunamente "targato" oppure col capitale di tutti sono gestitit da privati (gli ospedali di Castiglione e Suzzara e molti servizi). Bisognerebbe voltare pagina, cambiare libro, avere il coraggio di far tornare l'ente pubblico protagonsita di un progetto di cambiamento sociale che nessun privato potrà mai garantire se non a vantaggio di interessi di classe, affinchè si torni a progettare un futuro civile e sociale nella prospettiva del progresso collettivo e non di una parte sulla pelle degli altri.
Le privatizzazioni hanno portato al trionfo degli affari di tutti, tranne che dell' ente pubblico: privatizzare i servizi ha significato innescare una corsa alla speculazione edilizia e finanziaria a cui la sanità non si è sotratta, anzi.
E così è caduto anche l'ultimo baluardo "storico" della sanità mantovana, l'ex OP del Dosso che invece di diventare la sede dell'aggregazione culturale e sociale del territorio, così come era accaduto, ad esempio, per l'area dell'ex Paolo Pini di Milano, sarà trasformato in un luogo residenziale, molto facilmente di lusso. Prima della riforma era di proprietà della Provincia, è stato trasferito alla Regione e quindi venduto per essere edificato, proprio come piazzale Mondadori. Un altro pezzo di città che se ne va per arricchire le tasche dei privati, facilitati dalla gestione dell'amministrazione pubblica; pezzi di agibilità democratica del nostro paese che non esistono più e servono ad altri scopi, quelli che oggi imperano senza alternativa nella nostra vita sociale e politica: il denaro ed il profitto individuale. L'ex Psichiatrico avrebbe potuto essere acquisito dagli enti pubblici mantovani e forse ancora si può rimediare all'ennesimo scempio. La proposta non è nuova, altre realtà l'hanno sperimentata sull'esempio di quanto Mario Tommasini ci aveva fatto vedere diventare realtà, non solo teoria, unire gli enti locali in un' associazione di scopo per farne un centro, anche residenziale, oltre che ricreativo, sportivo e naturalistico che, conservando la memoria di quello che è stato in passato e delle conquiste che in materia di salute mentale, benessere individuale e collettivo si è conquistato, si rivolga ad un panorama variegato di persone e di nuclei familiari che l'odierna omologazione culturale, si ostina a confinare nelle case di riposo, in varie forme di centri di accoglienza, istituti, nuovi ghetti quali luoghi abitativi dell'emarginazione e ambienti "chiusi" che (spesso in forma privata ma sempre pagata dal pubblico) non sono mai venuti a mancare, anzi si sono moltiplicati, specialmente nella Lombardia iperliberista. I microalloggi protetti per anziani, anche parzialmente autosufficienti con portierato sociale, gli alloggi del "dopo di noi" dove anche soggetti con disabilità psicofisiche riescono ad avere una propria condizione di autonomia e ripresa delle esistenti potenzialità umane, minialloggi per donne e nuclei monoparentali con figli minori, per studenti universitari, lavoratori precari, da costruire usufruendo dei progetti e dei finanziamenti europei e regionali, oltre che dei privati (per esempio dalle fondazioni che sono tenute a riversare parte dei propri profitti nel settore sociale) sarebbero una realizzazione possibile nel rispetto di quello che era quello spazio. Forse il luogo è troppo bello per simili soluzioni e queste persone devono continuare a vivere nei luoghi dell' emarginazione, al massimo rivernicati coi restiling dei contratti di quartiere, anche se strutture come l'ex OP sono di proprietà pubblica. Certo il regista di ciò dovrebbe essere l'ente pubblico, quello che una volta era lo Stato che oggi non c'è più, giacchè non svolge più la sua funzione di regolatore sociale, demandando alla sciagurata politica della sussidiarietà scelte e progetti, insieme agli enti locali territoriali, chiamati ad avere una visione complessiva dei bisogni della società e delle modalità per risolverli in modo positivo ed egalitario. Così non è: tutto è demandato al privato, anche la cura del sociale e quindi l'organizzazione dei servizi necessari. E' ovvio che nella giungla abitata e gestita dall'impresa, il più forte impera e vince e quindi gestisce in virtù di interessi parziali e individuali quello che era proprietà pubblica acquisita con la fiscalità. Il fatto che molti di coloro che hanno condiviso, anche da "sinistra", tale scelta, oggi si scandalizzino, quando da tempo hanno abbandonato il proprio compito e il proprio ruolo, anzi hanno fatto in modo che in propria vece intervenissero soggettività private (anche se associazionistiche o cooperativistiche che oggi sono assai lontane dalle caratteristiche di quell'universo mutualistico per il quale erano nate), le quali con solerzia hanno colmato il vuoto e hanno suplito all'inerzia pubblica, facendosi sistema, è quanto meno operazione ipocrita. Le responsabilità rimangono. Il colpo, preceduto dalla cessione dell' OP di Castiglione, potrebbe essere seguito da quello della Ghisiola, così come innumerevoli sono gli immobili che da pubblici sono andati ad arricchire un privato sempre oppotrunamente "targato" oppure col capitale di tutti sono gestitit da privati (gli ospedali di Castiglione e Suzzara e molti servizi). Bisognerebbe voltare pagina, cambiare libro, avere il coraggio di far tornare l'ente pubblico protagonsita di un progetto di cambiamento sociale che nessun privato potrà mai garantire se non a vantaggio di interessi di classe, affinchè si torni a progettare un futuro civile e sociale nella prospettiva del progresso collettivo e non di una parte sulla pelle degli altri.
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